monumenti ai caduti di tutte le guerre
Il fenomeno dell’erezione dei monumenti ai caduti della Prima Guerra Mondiale inizia piuttosto sorprendentemente già prima della stessa conclusione della guerra, ovvero direttamente sul campo di battaglia, dove vengono talora eretti dei ricordi piuttosto improvvisati, ricavati alla bell’e meglio con i materiali e i poveri strumenti, nonché con le professionalità non specializzate, che sono concretamente a disposizione in trincea; in alcuni rari casi, inoltre, con la stessa precoce cronologia è possibile incontrare monumenti di più ampio respiro, sebbene ancora piuttosto diversi da quelli che si diffonderanno di lì a pochi anni, anche a una certa distanza dal fronte. È però ovviamente la firma dell’armistizio a conferire al fenomeno un orizzonte davvero massificato, e anzi si può persino segnalare che le prime accese polemiche in merito alla questione dei monumenti ai caduti risalgono a nemmeno un mese dopo la conclusione ufficiale del conflitto, tanto è vero che già nel dicembre 1918, sulle pagine di “Emporium”, il vivace polemista Ettore Janni stigmatizza ironicamente L’invasione monumentale, giungendo addirittura a sostenere che “la condizione della Germania è invidiabile”, poiché la sconfitta la mette al riparo dalla proliferazione di brutti monumenti. Non tutti sono però d’accordo con la linea per così dire rigorista di Janni, infatti, sul “Corriere della Sera” del 3 aprile 1919, Ugo Ojetti, proponendo un ragionamento di fatto più politico che estetico, si esprime a favore dei monumenti, perché i monumenti sanciscono “la giustizia di questa guerra, la tolleranza di questo popolo e dei suoi confini”: a suo avviso, infatti, dopo aver chiesto agli italiani di combattere una guerra che aveva causato milioni di morti, non celebrare adeguatamente i caduti avrebbe anche significato rischiare di offrire argomenti ai disfattisti che la guerra l’avevano sempre osteggiata, e che a questo punto, dopo le privazioni degli anni del conflitto, potevano avere buon gioco nel cavalcare lo scontento della popolazione. E allora, su basi simili a queste, quando di lì a poco, nel 1922, si insedia il primo governo Mussolini, i tempi sono maturi per una valutazione che ormai è di natura esclusivamente politica, tanto che Otello Cavara, giornalista de “L’Illustrazione italiana”, periodico su cui non a caso vengono pubblicate a centinaia le immagini dei nuovi monumenti inaugurati settimana dopo settimana, può scrivere che “il crescendo dei brutti, dei mediocri, dei discreti monumenti, la gara fra comuni, quartieri di grandi città, e categorie, provano che le rimembranze parlano sempre più robustamente in proporzione della salute spirituale di cui oggi il paese è percorso: del resto, certe opere artisticamente disgraziate rivelano una bellezza, una vitalità anche nell’animo di chi non le volle, di chi non le amò”.